Si segnala la recente pronuncia della Corte di Cassazione in tema di procedure di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, in quanto presenta molteplici spunti innovativi che potranno risultare dirimenti in futuro, quali:
- mantenimento dell’originario piano di ammortamento del mutuo ipotecario – scadenza dei crediti anteriori all’apertura della procedura;
- ammissibile prospettare l’accordo di composizione prevedendo una dilazione di pagamento dei creditori ipotecari, a prescindere dall’ipotesi di continuità d’impresa;
- durata della procedura per effetto della dilazione (Legge Pinto) – Valutazione convenienza da parte dei creditori ammessi al voto.
In riferimento al primo punto, la Corte ha deciso di pronunciarsi, pur in assenza di motivo prospettato dal ricorrente, in quanto trattasi di questione di diritto in assenza di un giudicato interno ostativo.
La questione si palesa di notevole interesse, in quanto molte pronunce di merito hanno operato la distinzione tra contratti di mutuo ipotecari regolarmente osservati e contratti di muto risolti, consentendo il mantenimento degli stessi alle regolari scadenze nel caso, appunto, di non risoluzione.
Accadeva, in sostanza, non di rado che il Giudice ritenesse compatibile con la procedura di accordo di composizione il regolare pagamento del mutuo ipotecario in essere, mentre non riteneva possibile prevedere il pagamento del debito residuo in un tempo superiore all’anno nei casi, assai frequenti, in cui il mutuo fosse risolto (ex art. 8, co. 4, l. 3/2012).
Questa interpretazione è stata decisamente rifiutata dalla Corte in quanto:
- l’art. 8, co. 4 della l. 3/2012 (che prevede il pagamento dei crediti privilegiati nel termine di un anno in presenza di “accordo in continuità d’impresa”) non rappresenta l’unica volontà del legislatore in quanto, diversamente, sarebbe in contrasto anche con la dilazione prevista dall’originario piano di ammortamento (per l’appunto superiore all’anno). In tal senso anche le previsioni di sospensione o di limitazione di diritto degli interessi (ex art. 9, co. 3-quater, l. 3/2012 e artt. 2749, 2788 e 2855 c.c.) per un tempo assai prolungato sarebbero in contrasto con la regola dell’integrale soddisfazione dei crediti prelatizi;
- Pur non essendovi un esplicito rinvio all’art. 55, co. 2 della legge fallimentare, si deve ritenere applicabile anche all’”accordo di composizione” la regola per cui tutti i crediti si considerano scaduti alla data di apertura della procedura (data la comune natura concorsuale). La Corte rammenta, peraltro, che anche l’art. 1186 c.c. prevede che il credito si considera scaduto quando il debitore sia divenuto insolvente (equiparando, sostanzialmente, lo stato di sovraindebitamento allo stato di insolvenza).
Appurato, dunque, che l’aver mantenuto l’originario piano di ammortamento del mutuo non è rilevante ai fini della questione della dilazionabilità del credito ipotecario, la Corte prosegue nell’esame degli altri motivi di ricorso.
In riferimento al secondo punto, la Corte condivide la tesi prospettata dal ricorrente secondo cui è sempre ammissibile prospettare un accordo di composizione prevedendo una dilazione dei crediti ipotecari, a prescindere dall’ipotesi della continuità d’impresa (in ragione del principio di libertà delle forme ex art. 8 e in virtù dell’analogia con l’istituto del concordato preventivo).
La Corte ritiene che si debbano estendere alla procedura in esame i principi che la giurisprudenza della Corte medesima ha enucleato in merito al possibile contenuto della proposta concordataria, col solo limite della compatibilità.
Assunto ciò, viene ricordato che, in tema di concordato preventivo è possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti privilegiati o prelatizi ma equiparando i creditori ai chirografari per la parte di credito che si possa ritenere non integralmente soddisfatto (si è più volte affermato il principio per cui la regola generale è il pagamento non dilazionato dei crediti privilegiati o prelatizi, mentre il pagamento dilazionato degli stessi equivale a soddisfazione non integrale del credito, in ragione della perdita economica derivante dal ritardo rispetto ai tempi “normali”).
Tali principi sono, pertanto, applicabili agli accordi di composizione (vedasi gli artt. 7, co 1 e 11, co. 2 della l. 3/2012, esattamente conformi) e non rileva in senso ostativo la previsione di cui all’art. 8, co. 4 della l. 3/2012 (soddisfazione entro l’anno) in quanto essa riproduce esattamente quanto previsto dall’art. 186-bis, co. 2, lett. c), l.f. (quest’ultimo, in tema di concordato preventivo, convive con la possibilità della dilazione pluriennale dei crediti privilegiati o prelatizi, fermo restando la possibilità di voto concessa).
Infine, in riferimento al terzo punto, la Corte dirime un’altra questione che è stata affrontata con esiti spesso opposti dalla giurisprudenza di merito, ossia la durata delle procedure in esame, da ritenere non accettabile nei casi in cui si estenda oltre il termine di “ragionevole durata” (pari ad anni sei) previsto dalla legge Pinto per le procedure concorsuali.
La Corte ritiene “eccentrico ipotizzare un divieto (sostanziale) di dilazione del debito in nome della durata ragionevole del processo”.
La durata di una procedura che preveda pagamenti ultrannuali, con orizzonte temporale rilevante, non può rappresentare una fattispecie di “illegittimità tout court”.
Sono i creditori, infatti, ad effettuare una valutazione di convenienza di una proposta di accordo (anche implicante pagamenti dilazionati) rispetto alle possibili alternative di soddisfacimento del proprio credito.